Diventare manager di se stessi è una condizione fondamentale per sentirsi “al meglio” in azienda ed elevare le proprie performance, supportati o meno dai propri capi. Per farlo, però, occorre, seguire un percorso di autosviluppo. Scopriamo come.

Ho fatto alcuni mesi fa una affermazione che ha prodotto al contempo consensi e perplessità. Ho sostenuto che nelle aziende tutti hanno “potenziale”.Cioè tutti hanno potenziale di crescita.

Oggi, sobriamente, faccio un’altra affermazione: tutti possono divenire Manager.

Per non generare eccessivo stupore (o preoccupazione per le mie condizioni mentali) aggiungo: di se stessi.

In questo articolo vorrei proporre non un metodo, ma alcuni spunti di riflessione per tante persone che lavorando in azienda, a un certo punto, ambiscano a diventare manager di se stessi. E’ una condizione fondamentale per sentirsi “al meglio” in azienda ed elevare le proprie performance, supportati o meno dai propri capi.

Tutti potenziali manager?

Posso affermare che chiunque, nel proprio ciclo di vita in azienda, possa crescere. A volte anche non rendendosene conto o non desiderandolo. In azienda si tende a identificare come potenziali solo alcune risorse caratterizzate da background accademici autorevoli o che esprimano nei comportamenti e nelle aspettative uno spiccato orientamento alla crescita di carriera.

In realtà ho osservato in tantissimi casi oggettive crescite (di competenza, di ruolo ed anche di carriera) in soggetti apparentemente non “titolati” o che non esprimevano particolare interesse al proprio sviluppo individuale.

E’ evidente che la propensione alla crescita sia variabile da individuo a individuo, quello che potrebbe utilmente cambiare è l’attitudine dell’azienda a non “limitare” la propria attenzione alle risorse genericamente identificate come potenziali / talenti.

Premesso che una politica sui talenti è comunque utile in situazioni in cui potenzialità fuori dal comune possano rischiare concretamente di lasciare l’azienda, ritengo che un’ottica troppo restrittiva sulle possibilità delle persone in azienda non possa che limitare le possibilità di crescita dell’intera organizzazione.

Considerare tutti come potenziali “manager” in azienda è passo ancor più difficile e potrebbe indurre in confusione. 

Al di là dell’identificarsi nella formale assegnazione di ruoli di responsabilità di coordinamento di altre risorse, la managerialità in effetti può esplicarsi nell’azienda di oggi in diverse circostanze da parte di una ben più ampia cerchia di persone.

Il termine “manager” di fatto implica una responsabilità di “gestione” di risorse (non solo umane), clienti, fornitori, progetti, ecc. 

Se leggiamo il termine “manager” in questa accezione molte risorse in azienda si trovano a svolgere compiti manageriali contribuendo ai risultati della propria funzione con piccole decisioni e con i propri comportamenti. Maggiore è la visibilità del risultato concreto e meno sono prescritte le azioni necessarie per conseguire lo stesso risultato, maggiore è ovviamente questo ambito di managerialità.

L’evoluzione del business e delle logiche organizzative in molte aziende hanno determinato il crescere del livello di empowerment ed autonomia gestionale di molte risorse impiegatizie. 

Questa è una evoluzione inarrestabile alla quale le aziende farebbero bene a dare ancora maggiore impulso. Tale impulso è determinato dalla consapevolezza per la quale non si affronta il cambiamento epocale in corso (inclusa la digital transformation) senza il concorso consapevole della maggior parte delle risorse in azienda (o meglio di tutte).

Se le direzioni aziendali accettassero che il tema della managerialità vada allargato sempre di più ad una sempre più vasta popolazione aziendale (indipendentemente dal livello di potenziale), diventerebbe importante che questa evoluzione fosse condivisa e di fatto “gestita” proprio dalla stessa pluralità di persone. 

Questa condivisione non è affatto banale, ed è su questa che incentrerò il resto dell’articolo, partendo dalle buone ragioni per lavorare sulla propria managerialità individuale, a qualsiasi livello.

Il primo obiettivo diventa allora quello di comprendere che il primo passo nella crescita manageriale sta nella capacità di “gestire” se stessi.

Perché manager di se stessi in azienda

Vorrei partire da un paio di esempi che riflettono situazioni molto comuni in azienda. Sono due piccole storie di persone comuni che possono trovarsi nella condizione di valutare se lavorare nella prospettiva di divenire manager di se stessi. 

Situazione 1

Carlo P. lavora come contabile in una azienda molto evoluta sul piano manageriale con grande spinta da parte del management sul cosiddetto empowerment e su ampia autonomia assegnata ai collaboratori. 

Carlo riporta ad un giovane capo che ha instaurato un rapporto informale e caratterizzato da elevato coinvolgimento dei collaboratori diretti. Nel contempo il capo ha una eccellente capacità nel prospettare obiettivi personali da raggiungere monitorandone il perseguimento ed esercitando una consistente pressione il raggiungimento.

Recentemente il capo ha assegnato a Carlo un importante progetto connesso alla implementazione dei nuovi processi di fatturazione elettronica in azienda. Ogni settimana tiene una riunione con lui e altri collaboratori per fare il punto sull’andamento dei vari progetti assegnati a ciascuno ed in genere sulle attività della funzione.

Carlo non gestisce direttamente persone, ma si confronta con molti interlocutori esterni e interni all’azienda.

Perché Carlo dovrebbe essere orientato a lavorare per accrescere la sua capacità di gestire se stesso ? 

Diamo alcune possibili risposte:

1) Percepisce i limiti delle sue competenze, si sta occupando di nuovi processi aziendali e non ha il dovuto supporto da parte di altri colleghi in azienda

2) E’ consapevole dell’opportunità di acquisire una utile esperienza su un tema molto attuale ma percepisce che la sfida lo coinvolge un po’ troppo sul piano dell’impegno, impegno che lo costringe a travalicare costantemente il normale orario di lavoro in azienda

3) Ha paura di sbagliare ma non vuole mostrarsi insicuro nei confronti del suo capo e dei colleghi

4) Ha avuto alcune spiacevoli interazioni con clienti che gli hanno espresso la loro insoddisfazione e i disagi per i ritardi nell’implementazione delle nuove procedure

 

A fronte di queste esitazioni decide di chiedere un incontro personale con il proprio capo. Durante l’incontro Carlo esprime con molta trasparenza queste preoccupazioni. Il capo gli ricorda che si aspetta da lui una assunzione di responsabilità e una proattività tenendo conto che in questa fase nessun altro in azienda può fornirgli ulteriore supporto. Detto questo si dichiara assolutamente disponibile a valutare qualche soluzione utile a supportarlo nel suo lavoro sulla base di precise richieste e di un piano di azione che gli chiede di formulare in tempi rapidi presentandola nel successivo meeting settimanale.

Questa opportunità spinge Carlo a fare una profonda riflessione su come comportarsi nel proseguo della sua collaborazione con l’azienda.

Situazione 2

Paola G. lavora da anni nell’ufficio Supply Chain di uno stabilimento di produzione di un importante gruppo alimentare di proprietà di un imprenditore italiano. In particolare si è occupata negli ultimi anni di rapporti con i fornitori di materie prime riportando ad un anziano e molto esperto capo ufficio. Recentemente il capo ufficio ha concordato con l’azienda un pre-pensionamento uscendo repentinamente dall’azienda. Lo staff della Supply chain composto da un totale di 4 persone è stato messo a riporto di un giovane ingegnere cresciuto in azienda, competente nei processi ma senza esperienza manageriale. 

Paola si è ritrovata a questo punto a lavorare con minore tranquillità senza un riferimento costante e puntuale nel determinare giornalmente le attività. Il nuovo responsabile in particolare è spesso assente perché spesso impegnato nell’implementazione del nuovo sistema informativo in aziendale. 

Perché Paola dovrebbe a questo punto essere orientata a lavorare per accrescere la sua capacità di gestire se stessa ? 

1) Perché le attività di acquisto di materie prime ed i rapporti con i fornitori costituiscono uno snodo critico nei processi di produzione aziendali dovendo garantire il massimo rispetto di tempistica e qualità

2) Perché l’uscita del capoufficio significa sia la perdita di contatto con un riferimento costante e rassicurante nell’attività giornaliera e nel contempo la riduzione di un prezioso supporto operativo non sostituibile

3) La revisione del sistema informativo potrebbe determinare il suo diretto coinvolgimento nella fase di analisi essendo lei a questo punto la più esperta nel processo di acquisto

4) Perché anche alla luce della sua seniority i colleghi certamente cercheranno a loro volta il suo supporto, cosa che potrebbe distoglierla dal focus sulle attività quotidiane.

A questo punto Paola si reca dal proprio nuovo capo e gli trasmette queste preoccupazioni. Il nuovo capo le fa presente che al momento è impensabile l’inserimento di ulteriori risorse e che si aspetta da lei una massima responsabilizzazione per supportarlo a sua volta nella gestione del reparto. Le chiede comunque di pensare a qualche soluzione per organizzare al meglio il lavoro e tornare da lui in un paio di settimane per discuterne in merito.

Questa situazione spinge Paola a riflettere su come modificare in qualche modo il suo modo di lavorare valutando come affrontare una situazione che potrebbe per lei non essere sostenibile, anche perché sa benissimo di avere forti vincoli famigliari che rendono difficile un impegno al di fuori dell’orario di lavoro. 

 

Queste 2 “istantanee” rappresentano situazioni che prima o poi possono generarsi in azienda indipendentemente dalla cultura dello sviluppo delle risorse umane ma legate ad eventi che impattano inevitabilmente lo sviluppo organizzativo. 

 

Alcune riflessioni su questi due casi

Potrei ovviamente fare decine di esempi ma credo rappresentino una sufficiente premessa nel porsi un quesito di base sul tema:

pensate che nelle situazione descritte in Carlo e Paola si sia generata una vera “tensione” nell’affrontare il tema di gestire in primis se stessi?

Rispondiamo facendo alcune riflessioni sui 2 casi:

- Carlo e Paola vivono diverse situazioni ed hanno probabilmente diversi orientamenti nei confronti della propria crescita individuale

- Vivono in contesti aziendali decisamente differenti, il primo dei quali in cui l’azienda stessa in un certo senso offre l’opportunità di crescita individuale quale valore sponsorizzato e supportato dal management. Nella seconda azienda lo sviluppo individuale non è nei cromosomi del management ma viene indotto dai fatti e dalle evoluzioni dei processi e del business. 

- Entrambi si trovano comunque a dovere riflettere profondamente sul cosa fare a seguito di mutate condizioni organizzative. Sono obbligati ad impegnarsi in questa riflessione.

Proveremo nel resto dell’articolo ad aiutarli con qualche idea. 

Nel frattempo proviamo a identificare alcuni postulati alla base del concetto di manager di se stessi. 

  • Si può divenire manager di se stessi se si comprendono vantaggi ed opportunità nel costruire un piano individuale (why?)
  • Il che implica, necessariamente, far divenire questo lavoro su se stessi una priorità (how)
  • Identificando precise e concrete azioni su alcune aree di sviluppo (what)
  • Chiedendo il supporto di qualcuno (who: capo? HR? Colleghi? Coach?)

Vantaggi e opportunità del divenire manager di se stessi

Ripensando semmai a Carlo e Paola, ma anche ripercorrendo la nostra vita in azienda, potremmo pensare a momenti in cui si è acceso in noi uno switch che ci ha portato a riflettere su questi concetti.

Questi momenti possono scaturire da situazioni di questo tipo:

- cambiamento del proprio capo;

- coinvolgimento in nuovi progetti;

- assegnazione di responsabilità di progetto;

- qualsiasi dinamica di cambiamento in termini di processi aziendali (nuovi sistemi informativi, digitalizzazione di processi, ecc.);

- capi che ci assegnano lavori sfidanti;

- capi che ci assegnano autonomia decisionale nell’ambito del nostro ruolo;

- capi che ci assegnano nuovi ruoli e nuove mansioni;

- capi che ci assegnano compiti di tutorship/formazione di risorse;

- relazioni con nuovi clienti/fornitori;

- relazioni difficili con clienti/fornitori semmai a seguito di nuovi processi aziendali;

- partecipazione a eventi/meeting aziendali;

- partecipazione a meeting internazionali;

- situazioni aziendali difficili (momenti di crisi, riduzione di personale ecc.)

Quali vantaggi in genere dovremmo trarre nel “cavalcare” con positività in genere situazioni di questo tipo, che si solito si sostanziano in “cambiamenti” del normale tran tran quotidiano? Provate a pensare ancora una volta a Carlo, Paola e tutti noi.

Sicuramente cominciare a lavorare su un piano di sviluppo individuale ci potrebbe portare:

- acquisizione di nuove competenze utili per la nostra carriera in azienda (e anche fuori dall’azienda);

- divertimento (ma certamente!), uscita dalla monotonia quotidiana;

- dar prova delle nostre capacità nei confronti dei superiori;

- stimoli intellettuali e apertura di nuovi approcci nei confronti dell’azienda;

- maggiore comprensione delle finalità e delle mission aziendali per lavorare comunque meglio;

- lavorare sui nostri limiti (insicurezze, paure ecc.);

- imparare a gestire meglio il tempo e le priorità;

- migliorare le relazioni con i nostri colleghi;

- migliorare le nostre capacità di comunicazione;

- aggiornare il nostro approccio alle nuove logiche imposte dalla trasformazione digitale e dai nuovi orientamenti del business;

- evitare di divenire obsoleti;

 

E le criticità?

Ciascuno può aggiungere mille buone ragioni, fatelo. Ma non nascondiamo anche qualche “criticità”:

- maggior lavoro, maggiore “fatica”;

- tensioni, preoccupazioni;

- portarsi dietro qualche preoccupazione fuori dal lavoro (ma a questo proposito quante “menate” quotidiane comunque ci portiamo dietro?);

- qualche mal di testa o altro impatto psico-fisico;

- perdita di focus sulle attività normalmente gestite.

Mentre ciascuno può riflettere su questi vantaggi e svantaggi nel lavorare nella prospettiva di essere manager di se stessi, proviamo a  esplorare alcuni percorsi alla base di un programma di sviluppo individuale.

A cosa è finalizzata la crescita delle persone?

Prima di tratteggiare qualche idea per iniziare a lavorare (in modo strutturato) su se stessi devo fare una premessa alla base di qualsiasi percorso di sviluppo e autosviluppo in azienda.

Parlare di sviluppo delle risorse umane in azienda appare talvolta come una enunciazione di una sana propensione dell’azienda a far crescere le proprie risorse. 

Perché l’azienda può avere interesse a far crescere le persone ? Non per una ammirabile vocazione che avvicinerebbe l’azienda ad una università o una scuola di formazione, bensì perché l’azienda ha realizzato che lo sviluppo delle sue risorse ha un impatto positivo sul business.

Questo concetto non va sottovaluto e ci porta ad affermare un principio fondamentale: anche l’autosviluppo delle persone, supportato o meno dai propri capi o dall’azienda, deve essere finalizzato ad incidere “contestualmente” su:

- le prestazioni nel proprio ruolo;

- la crescita individuale.

Quello che voglio dire è che non c’è sviluppo individuale senza incidere sul miglioramento delle proprie prestazioni nella percezione dei propri “stakeholder” aziendali (detentori di aspettative).

Nel caso di Carlo e Paola entrambi possono valutare se valga la pena lavorare su se stessi sapendo benissimo che devono mantenere o accrescere il proprio standard di prestazione nel ruolo che ricoprono (e nei ruoli in evoluzione). 

Questa premessa può risuonare come banale ma è alla base di tutto quello che segue. L’azienda non è una associazione né un club, ma un detentore di aspettative di risultati per cui non c’è sviluppo che non tenga conto delle suddette aspettative.

La cosa positiva è che lo sviluppo individuale se migliora la propria performance è un moltiplicatore di ulteriore sviluppo e soddisfazione per la persona (di solito …. Ma non sempre, purtroppo). Certamente se non si lavora su se stessi la prestazione non può che peggiorare. 

Un percorso per diventare manager di se stessi

Quelli che seguono sono classici “passi” di qualsiasi percorso di autosviluppo in azienda. Se solo ci pensiamo un po’ su siamo già a buon punto. Strutturare un percorso di sviluppo e poi “tenerlo vivo” non è semplice ma non strutturarlo significa semplicemente non farlo (aspettando che altri lo confezionino per noi – spesso invano).

1) Analisi del posizionamento proprio ruolo in azienda (considerando aspettative stakeholders, situazione aziendale, feedback ricevuti o percepiti, prospettive individuali, “come mi sento”)

2) Definizione propri obiettivi di sviluppo

3) Definizione priorità di sviluppo (lavorando su forze o aree di miglioramento)

4) Definizione delle azioni di sviluppo

5) Identificazione “partner” dello sviluppo (per supporto/aiuto/verifica progressi)

6) Verifica risultati e reiterazione piano di sviluppo

1) Analisi del posizionamento del proprio ruolo in azienda

Il primo importante, anzi indispensabile passo, sta nel costruirsi una “situation map”. Ovvero mettere a fuoco la propria situazione in azienda cercando di essere il più possibile razionali. Quello che è importante capire è in estrema sintesi il “livello” della propria contribuzione ai risultati della propria funzione o del proprio contesto. Questa valutazione deve essere un po' cinica e molto realistica: potrebbe tradursi nel “perché l’azienda” ha bisogno di me.

Non è affatto banale, anche se le strutture dei contratti porta ciascuno di noi a sentirsi “tutelato” – è vero ma fino ad un certo punto. Si è tutelati, ma occorre richiamarsi sempre al principio della natura del rapporto di lavoro che implica uno scambio tra prestazione e retribuzione. Ci si lamenta spesso dell’entità della retribuzione ma non si pone la stessa attenzione a volte a quanto per l’azienda è importante “la prestazione”. 

Il vero problema sta nella scarsa trasparenza da parte dell’azienda nel valutare la prestazione e dare feedback in proposito ed è per questo una delle prime azioni di autosviluppo sta nella pretesa/ricerca di feeback.

Teniamo conto che un’azienda sana dovrebbe avere ben chiaro che la prestazione delle persone è legata alla crescita delle stesse (e ovviamente alla motivazione). Quindi il fare il punto sul rapporto tra prestazione, crescita individuale e motivazione dovrebbe essere un interesse comune… Semmai talvolta non evidenziato per il solito alibi della mancanza di tempo.

Esistono varie tecniche per fare il “punto”, non mi dilungo oltre, ma certamente una delle esigenze principali è avere chiare le aspettative reciproche, di norma (ma non sempre è così) esplicitate in colloqui di feedback.

Nella propria “situation map” dovrebbero rientrare quindi una sintesi di questi feedback coniugate ad una consapevolezza della situazione dell’azienda. Quest’ultima è un altro fondamentale tassello della propria situation map. 

Nel caso illustrato di Carlo e Paola esistono per entrambi vari elementi per definire il proprio posizionamento sia in considerazione della percezione di come sono visti in azienda e sia in relazione all’evoluzione organizzativa in corso (sono entrambi consapevoli di essere percepiti come preziosi contributori a fronte dei “cambiamenti” in corso, cambiamenti sia pur differenti in relazione alle differenti culture aziendali).

Nella “situation map” va a questo punto inserita la propria percezione anche emotiva, ovvero il “come mi sento” in questa azienda, considerate le proprie aspettative, le proprie aspirazioni di crescita, l’ambiente di lavoro, i rapporti con i colleghi, con il capo, ecc.

2) Definizione dei propri obiettivi di sviluppo

Tutto quanto segue è diretta conseguenza dell’analisi iniziale e dello sforzo di definire una serie di obiettivi per il proprio sviluppo.

Torniamo a Carlo e Paola e chiediamoci quali obiettivi potrebbero definire (ne indico per ciascuno due alternativi, ma potrebbero essercene altri)

Carlo

1) Prendere in mano decisamente la responsabilità del progetto accettando maggiore responsabilità e qualche rischio connesso ma chiarendo il livello di supporto necessario nella prospettiva di crescere managerialmente in azienda

2) Percorrere l’esperienza cercando il maggior supporto ma iniziare a cercare una azienda nella quale trovare maggior sicurezza e riconoscimento di quello che è in grado di fornire

Paola:

1) Accettare le nuove incombenze cercando comunque modalità per mantenere un adeguato equilibrio tra lavoro e vita privata

2) Chiedere di cambiare lavoro perché consapevole di non sostenere le nuove incombenze 

Qualcuno potrebbe a questo punto obiettare che i secondi obiettivi di fatto esprimano “rinuncia” e “rifiuto delle opportunità” (minimizzando, in apparenza, i rischi).

Deve essere chiaro che in alcune situazioni non esistono comunque alternative. Se la rinuncia implica fuga o cambiamento di lavoro non essendo queste prospettabili in modo certo possono portare gradualmente le persone a ridurre il proprio livello di contribuzione, a peggiorare la propria prestazione con impatto sulla propria crescita ed alla fine su motivazione, serenità, ecc. 

Questo è lo snodo sottile che ciascuno dovrebbe cogliere: o si cresce o si cambia, ma illudersi di vivacchiare in una situazione aziendale che cambia ha più svantaggi che vantaggi. 

Provate a pesare, in relazione alla situazione ed alla vostra analisi gli svantaggi e le opportunità e decidete cosa fare.

Spero di essere stato chiaro. Per il proseguo, e se il messaggio è stato colto, proviamo ad immaginare di aiutare Carlo e Paola a lavorare su se stessi in termini di crescita perseguendo il primo obiettivo.

3) Definizione delle priorità di sviluppo (lavorando su forze o aree di miglioramento)

Qualsiasi percorso di sviluppo individuale deve basarsi su concrete azioni e priorità. Diventare manager di se stessi significa, tra l’altro potenziare forze o lavorare su proprie competenze o attitudini da migliorare per lavorare meglio ed affrontare le evoluzioni organizzative del proprio contesto. Le priorità di sviluppo devono tenere strettamente conto della definizione dei propri obiettivi di sviluppo di cui al punto precedente.

Sottolineo che questa ricerca di priorità di sviluppo è altra cosa rispetto alle “proposte formative” di norma offerte dall’azienda. Possono ovviamente coincidere ma perché la formazione sia efficace è sempre necessaria la coincidenza della consapevolezza da parte dell’individuo sulla necessità di quello specifico supporto allo sviluppo. Quanta formazione “sprecata” perché i primi a non sentirne l’esigenza sono gli stessi destinatari ! Per tornare all’esempio dei nostri Carlo e Paola quali potrebbero essere le priorità di sviluppo di entrambi alla luce della situazione in cui si trovano ed indipendentemente da cosa le rispettive azienda metteranno in atto per supportare la loro crescita ?

Per Carlo potremmo identificare le seguenti priorità facenti leva rispettivamente su una forza e una “debolezza percepita”.

  • Forza: Carlo sente di avere buone attitudini relazionali ed in termini di comunicazione, finora non particolarmente richieste dal ruolo amministrativo, ma recentemente messe proprio alla prova nel rapporto più difficile con i clienti ma anche con il proprio capo
  • Area di miglioramento: certamente la competenza tecnica in merito ai nuovi processi

Carlo è consapevole che in tempi brevi l’azienda non supporterà più di tanto a livello formativo queste sue priorità di sviluppo ma ne parlerà con il proprio capo ed in ogni caso coglierà l’opportunità di apprendere ogni giorno qualcosa in più dai nuovi processi.

Per Paola:

  • Forza: Conoscenza tecnica dei processi che andrebbe ulteriormente sviluppata ma nel contempo resa partecipe ad altri colleghi alla luce del progetto di revisione del sistema informativo aziendale
  • Area di miglioramento: Capacità di organizzare il lavoro (suo e di altri). L’uscita dall’azienda del suo ex capo di fatto sposta su di lei una aspettativa di coordinamento e di organizzazione del lavoro rispetto alla quale non ha mai posto attenzione. Può essere questa una sfida.

4) Definizione azioni di sviluppo

A questo punto si tratta semplicemente di pensare a specifiche azioni per supportare le proprie priorità di sviluppo.

Quando si parla di azioni occorre sforzarsi di andare al di là di ciò che può essere fornito dall’azienda o dal proprio capo. 

Certamente tornando al nostro esempio è assolutamente utile prospettare e richiedere in azienda un supporto formativo (ne parliamo più avanti) ma qui ciascuno dovrebbe molto più concretamente imporsi piccole azioni quotidiane per cominciare a lavorare sulle proprie priorità di sviluppo, che siano punti di forza che aree di miglioramento.

Tornando al nostro esempio identifichiamo qualche azione per Carlo e Paola connesse alle priorità di sviluppo evidenziate:

Carlo

per lavorare sulla forza “attitudini relazionali”:

  • prendere nota giornalmente dei contatti con clienti commentando come è andata
  • Riflettere e prendere nota in merito a “argomentazioni” ed approcci per interagire al meglio con i clienti a fronte di eventuali e comprensibili lamentele su problemi connessi all’implementazione del nuovo sistema

Per lavorare sull’area di miglioramento della competenza tecnica:

  • Confrontarsi con colleghi di altre aziende partecipando ad una community su Linkedin di contabili e consulenti amministrativi ed a workshop pre-serali sui temi più attuali 
  • Confrontarsi costantemente con i consulenti aziendali ed i colleghi IT per comprendere tutte le implicazioni sia normative che tecniche dei nuovi processi

Paola

Per lavorare sulla forza “Conoscenza tecnica da diffondere”:

  • Organizzare dei meeting giornalieri con i colleghi per condividere i loro dubbi sull’operatività ed affrontare insieme le problematiche che costantemente sorgono nella gestione dei processi logistici 
  • Cominciare a prendere nota di criticità ed importanti aspetti del processo da lei gestiti che saranno sicuramente alla base della prevista revisione del sistema informativo (portandosi così avanti rispetto all’analisi)

Per lavorare sull’area di miglioramento “Coordinamento del lavoro suo e degli altri”:

  • Sfruttare sempre i meeting giornalieri non per dirigere il lavoro altrui (che al momento formalmente non ha la responsabilità di coordinare) ma comunque per condividere al meglio le responsabilità con i colleghi e le modalità con le quali approcciare la frequenti “eccezioni” ed anomalie 
  • Osservare il comportamento dei colleghi non per giudicarlo o confrontarsi ma per cogliere opportunità ed eventuali debolezze da condividere in caso di verifica con il proprio responsabile

Questi sono piccoli esempi di azioni, che di fatto si traducono in assunzione di iniziative. E’ interessante notare come in azienda normalmente molte persone prendano iniziative specie in situazioni organizzative che lo richiedono finalizzate ad assicurare la continuità ed il buon fine dei processi aziendali.

Quindi nulla di nuovo. ma il salto di qualità è dato dal considerare tali spontanee iniziative non casuali o occasionali ma parte di un programma di autosviluppo. Guardate, basta davvero poco, ma la differenza è enorme, perché consente di finalizzare meglio la propria direzione di marcia in azienda senza sentirsi passivamente telecomandati o peggio ancora sfruttati.

5) Identificazione partner per lo sviluppo

Qui brevemente in entrambe le nostre storie posso citare, ovviamente con modalità differenti a secondo del contesto:

  • Il proprio capo (in primis), che sia o meno orientato in questo senso
  • I colleghi (fondamentali) e la dimensione di team (di cui parleremo fra breve)
  • Gli altri (i consulenti, gli amici, i membri di una community virtuale o di chi condivide in qualche modo
  • La funzione HR se esistente in azienda. Anch’essa fondamentale e semmai tramite per accedere al supporto di fondo che l’azienda può fornire alle persone sul piano della formazione o del coaching

6) Verifica risultati e reiterazione piano di sviluppo

Ciascuno a questo punto ma semmai anche coadiuvato da capi o colleghi può stabilire i cosiddetti “milestones”, i passi del proprio sviluppo, tenendo conto dei propri obiettivi.

E’ evidente che la strutturazione descritta di questo processo deve essere vista in primis come uno stimolo ad iniziare un processo. 

Nel caso di Carlo e Paola che adesso finalmente vorrei lasciare tranquillamente al proprio destino in azienda, il passo importante sta nello switch iniziale che scaturisce da un importante cambiamento avvenuto in azienda.

Nel decidere di intraprendere in qualsiasi modo un percorso di autosviluppo (l’alternativa è quella di non fare nulla) Carlo e Paola decidono di diventare in azienda manager di se stessi. 

Dover arriveranno ? Dipenderà certamente dagli eventi, dal supporto che riceveranno ma anche dalla costanza con la quale metteranno in atto azioni e comportamenti che lavorano sul cambiamento delle loro attitudini, delle loro abitudini per cercare in definitiva semmai di crescere anche in termini di carriera.

Alla peggio, malgrado i cambiamenti, riusciranno a vivere ancor meglio in azienda.

Per quanto attiene al nostro percorso di sviluppo potranno essere fatte periodiche verifiche, identificati i risultati (che sicuramente saranno riconosciuti ed apprezzati in azienda) ed a questo punto si potranno rivedere le proprie priorità di sviluppo ripetendo l’iter per mirare a nuovi successi.

Il piano di sviluppo è un importante passo propedeutico a costruire un percorso per divenire manager di se stessi.

Come nella costruzione di un percorso di sviluppo manageriale è utile inserire nella propria “cassetti degli attrezzi” alcune tecniche ed in alcuni casi alcuni piccoli “trucchi” o espedienti per affrontare in particolare le difficoltà che comunque le aziende sembrano abilissime a costruire per limitare le crescite individuali (anche se dichiarano il contrario).

Queste difficoltà toccano i rapporti con il proprio capo, in genere i processi di comunicazione in azienda, i vincoli culturali ed organizzativi ed ovviamente lo stress nei confronti dei risultati che ha sua volta un fortissimo impatto su priorità e gestione del tempo. 

Mi limito pertanto ad elencare a questo punto alcuni “strumenti” che potrebbero far parte di un programma integrato di formazione per tutti.

Alcuni strumenti per diventare manager di se stessi

  • La gestione del capo: come dicevamo il capo può e deve essere il primo supporto per lo sviluppo di ciascuno, ma non è detto che naturalmente ci siano le attitudini e le disponibilità. Attenzione a crearsi l’alibi “il capo non mi aiuta” o peggio ancora “mi gioca contro”. Occorre inoltre considerare un assioma di norma non discutibile: il capo non si cambia. Dobbiamo cambiare noi, nella nostra relazione con lui/lei.

Altra banale affermazione: è meglio fare qualcosa che non fare nulla, esistono tecniche sul piano della comunicazione e della relazione ma nella peggiore delle ipotesi occorre lavorare su se stessi comunque, facendo a meno di questo prezioso supporto. 

  • Lavoro in team: la grande scoperta per ciascuno è che è proprio la dimensione del team a fare la differenza sia nel raggiungimento dei risultati del business che nel supporto alla propria crescita ed al miglioramento della propria prestazione. Anche questo è un importante capitolo a parte di un percorso di sviluppo. Per il momento accontentiamoci di capirne l’utilità.
  • Il feedback: è importante imparare a riceverlo decodificandolo in modo corretto, richiederlo se non dato ed a propria volta imparare a darlo. Il feedback è alla base di qualsiasi processo di sviluppo ed ancora questo aspetto indubbiamente reitera la necessità di gestire al meglio le relazioni con il proprio capo. 
  • Il non detto: è una mia fissazione. Un articolo che potete leggere qui ne parla diffusamente esortando in particolare i capi a stanare il non detto dei propri collaboratori. Qui invece dobbiamo imparare a gestire, nel rapporto semmai con il nostro capo, con le Risorse Umane e con l’azienda, il nostro non detto. Se non sveliamo il nostro non detto al nostro capo non possiamo pretendere nulla.
  • La consapevolezza: in merito alla situazione aziendale, alle logiche organizzative e le aspettative nei confronti del nostro ruolo: sono a monte delle considerazioni fatte in questo scritto, rappresentano la lucida visione non solo di cosa è l’azienda oggi ma di come cambia (quindi di come evolvono le aspettative). Su questo punto occorre un profondo e serrato confronto con l’azienda stessa ed ancora una volta con i nostri capi che dovrebbero esserne la prima espressione.
  • Il rapporto tra prestazione e sviluppo: per me come dicevo tutti possono crescere e tutti possono avere potenziale ma non c’è crescita senza prestazione. Ne ho già chiarita all’inizio della trattazione l’importanza e desidero riformularla fino allo sfinimento. Il soddisfacimento delle aspettative di cui al punto precedente (aspettative di ruolo) ed i risultati costituiscono la precondizione per lavorare in termini di sviluppo. Se la prestazione non è soddisfacente l’azienda ti supporta nello sviluppo ma in primis deve vedere risultati sul piano della prestazione. Questo è un passaggio sottile e ineludibile.
  • Il marketing di se stessi: programmi di autosviluppo individuale “venduti” sul mercato non lesinano il ricorrere a tecniche di “marketing” per mirare al raggiungimento dei propri obiettivi. Certamente occorre lavorare su comunicazione, promozione di se’, costruzione di un network relazionale, ma attenzione a non confondere questo lavoro su se stessi ma, insisto, nel contesto dell’azienda, con una ossessiva ricerca di miglioramenti di carriera e di successi personali. Qui non vanno confezionate strategie di successo, ma modi di essere, veri, trasparenti e pieni di energia positiva, che semmai comunque potranno portare anche soddisfazioni e successi personali ma solo come conseguenza di un miglioramento della propria vita in azienda.
  • Le attitudini di base per lavorare bene:
  1. positività
  2. Integrità 
  3. Passione / Entusiasmo
  4. Trasparenza / Apertura 
  5. Flessibilità
  6. Resilienza

Di attitudini ne possiamo enumerare tante ma posso affermare che di norma persone che siano evidentemente animate nel proprio lavoro da queste 5 forniscono eccellenti prestazioni ed hanno ampie e concrete possibilità di crescita.

E’ chiaro che altre attitudini importanti quali la costanza, la velocità, e tante capacità / conoscenze possono variamente condizionare prestazione e sviluppo individuale ma alla fine quelle indicate in un certo senso ne costituiscono il presupposto. Se mi piace fare una cosa e se sono positivo sarò costante, determinato e mi impegnerò a lavorare sulle mie competenze per performare meglio.

Nella “resilienza” si cela infine un po’ l’essenza della forza necessaria per affrontare un percorso di sviluppo. E’ l’attitudine a concepire il cambiamento, le difficoltà e addirittura il dolore come fonte di energia per migliorare. 

Questo tema da solo meriterebbe un capitolo a parte.

Sottolineo infine che nel concetto di trasparenza/apertura c’è quella fondamentale predisposizione a non celare i propri punti di vista, le proprie idee, il proprio non detto, il tutto accompagnato alla fine dal “coraggio”

Il coraggio di divenire manager di se stessi

Chiudo proprio con l’ultimo spunto. Per essere manager in genere e per essere manager di se stessi ci vuole coraggio.

Oggi la paura annichilisce tante buone attitudini e la paura è quella di determinare in azienda situazioni che potrebbero compromettere lo status quo, la continuità contrattuale, ecc.

D’altra parte non c’è iniziativa senza coraggio, quindi non c’è crescita senza coraggio.

Le manifestazioni di coraggio in azienda dovrebbero generare apprezzamento da parte di chi decide e la percezione di trovarsi di fronte a chi “fa la differenza”.

Per essere onesti a volte non è così, il coraggio non è sempre premiato, ma sono proprio le aziende a perdere grandi opportunità nel reprimere la libera manifestazione di idee, l’assunzione di iniziative, ecc. 

Detto questo, credo fortemente che oggi il coraggio sia fondamentale per crescere veramente. Questo può significare avere il coraggio anche di cambiare azienda se ci si rende conto di lavorare in un contesto che non è minimamente interessato allo sviluppo ed alla motivazione delle risorse. Credo che questa tipologia di aziende, nel cambiamento in atto, potrebbe non avere grandi prospettive. Quest’ultimo pensiero può infondere quindi un ulteriore spinta al coraggio di prendere iniziative, di esporre le vostre richieste e le vostre idee alla Direzione. Mettendo in conto di avere alla fine il coraggio di lasciare una azienda che non sa ascoltarvi.

Riprendendo l’introduzione su vantaggi e svantaggi, valutate quindi se valga la pena in ogni caso divenire manager di se stessi in questo mondo in evoluzione. 

Ma fate presto. Con coraggio. 

Tommaso Raimondi, HR & Org. Dev. Consultant at Messe Frankfurt Italia / Management Consultant and coach with Zenger & Folkman, Iocap

 

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