Gli utenti, sia privati sia aziende, avranno la possibilità di agire direttamente in via civilistica per recuperare quanto hanno indebitamente pagato. Scopri di più e leggi in che modo i nostri esperti ti possono aiutare

Nel 2019 la Suprema Corte di Cassazione, con due distinte sentenze*, si è nuovamente pronunciata sulla delicata questione delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica**, confermando l’illegittimità di questo onere e affermando il diritto degli utenti finali ad agire per ottenere il rimborso degli importi indebitamente pagati nel biennio 2010-2011 (prima, cioè, che queste addizionali fossero definitivamente eliminate nel 2012).

In particolare, nel biennio 2010-2011 le addizionali provinciali venivano pagate dai titolari di utenze elettriche non domestiche mediante l’applicazione di un’aliquota che variava da provincia a provincia con un importo compreso tra 0,0093 €/kWh e 0,0114 €/kWh sullo scaglione di consumo mensile massimo su cui veniva addebitata l’addizionale (200.000 kWh).

Secondo le due pronunce della Suprema Corte, le addizionali provinciali devono essere disapplicate perché contrastano con una direttiva della Commissione Europea*** che afferma:

 “Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa [tra cui vengono inclusi i “prodotti energetici ed elettricità”] altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni”. 

Quindi la Cassazione ha stabilito che le Addizionali Provinciali sono state indebitamente pagate dagli utenti finali (professionisti o imprese), che possono dunque agire in via civilistica per recuperare quanto indebitamente versato. Questo perché, secondo la giurisprudenza comunitaria, “le imposte addizionali devono avere una finalità specifica intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio”, finalità che non viene ravvisata nella disciplina che ha imposto fino al 2012 l’Addizionale Provinciale.

Azione diretta

La Suprema Corte ha anche fatto chiarezza sul legittimato passivo all’esercizio della conseguente azione di ripetizione, prevedendo che l’utente finale proceda direttamente nei confronti del fornitore dell’energia elettrica, tranne nel caso in cui l’utente dimostri che questa azione è eccessivamente gravosa a causa della situazione specifica del fornitore (come accade, ad esempio, quando quest’ultimo è soggetto a una procedura fallimentare). In questo caso l’utente finale può eccezionalmente chiedere il rimborso direttamente all'Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio comunitario di effettività della tutela.

Per poter agire in giudizio è necessario che l’utente finale abbia conservato le bollette e il relativo pagamento, che costituiranno la prova, anche quantitativa, della domanda. Dalle fatture dovrà risultare l’addebito dell’Addizionale Provinciale.

A rischio prescrizione

Va detto  che l’azione di ripetizione dell’indebito ha un termine di prescrizione decennale, a partire dal momento in cui è avvenuto il pagamento dell’indebito. Quindi è necessario agire in tempi molto brevi, compiendo atti idonei ad interrompere il termine prescrizionale.

In collaborazione con lo Studio Tonucci & Partners, che sta già assistendo utenti finali nella ripetizione delle Addizionali Provinciali indebitamente versate, possiamo fornirti consulenza e assistenza sulla questione, suggerendo, in primo luogo, di predisporre e inviare una diffida al fornitore del servizio di energia elettrica, al fine di interrompere il termine di prescrizione. In questo modo sarà possibile raccogliere tutta la documentazione necessaria per promuovere l’azione di ripetizione di indebito.    

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*Cass. Civ. n. 27099 del 23 ottobre 2019 e Cass. Civ. n. 27101 del 23 ottobre 2019

** Art. 6, co. 3, d.l. n. 511 del 1988

*** art. 1, paragrafo 2, della direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretati dalla Corte di giustizia della UE rispettivamente con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17

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