Per essere competitive, le aziende devono essere in grado di creare valore partendo dalle diversità dei propri collaboratori, siano esse culturali, di genere o legate a differenti gradi di abilità al lavoro. Ma come si promuove e si comunica correttamente la diversità? Le 16 mosse suggerite dall’esperto

La gestione della diversità è una sfida sempre attuale che negli ultimi anni sta assumendo sempre più importanza per ogni Organizzazione.
Indipendentemente dalle dimensioni dell’attività e dal settore, l’imprenditore dovrebbe sempre farsi delle domande in merito alla propria capacità di creare valore partendo da apporti di natura differente. Non si parla solo di gestione, bensì della capacità di far aderire il team a un cambiamento culturale profondo.
Obiettivo primario, al quale una buona comunicazione contribuisce largamente, è quello di evitare che il valore resti imprigionato sotto il peso di linguaggi indecifrabili, preconcetti, differenze non ben codificate che creano distanza e incapacità di mettersi nei panni altrui.

Ognuno è diverso a suo modo
Quella della gestione e comunicazione della diversità in azienda è una sfida che riguarda solo le multinazionali o i luoghi di lavoro multiculturali? No. Ognuno di noi è diverso a proprio modo (per fortuna). Il collega di scrivania che si è laureato al nostro stesso ateneo, alla stessa cattedra, porta sul posto di lavoro il proprio universo culturale e valoriale derivato da un percorso che, anche se può essere uguale a quello di un’altra persona, è stato vissuto e filtrato in un modo personalissimo e unico.
In fondo persone diverse selezionano, acquisiscono, interpretano, comprendono e trasmettono informazione secondo modalità completamente diverse. Porre alla base della comunicazione una chiara e inequivocabile intenzione positiva, in questo caso, è la chiave che apre le porte. E che la stessa venga condivisa e trasformata in azioni concrete da tutto il gruppo con lo stesso livello di committment e coinvolgimento è il centro della questione.

Non tutte le aziende, però, sono pronte
Ogni tipo di diversità all’interno di un’Organizzazione dovrebbe essere presa in considerazione, da quella culturale, a quella di genere, a quella data da differenti gradi di abilità al lavoro (che può dipendere da differenze di skillset o da disabilità fisica o motoria, cognitiva ecc.).
Non tutte le Organizzazioni oggi hanno preso consapevolezza di quanto saper gestire la diversità possa supportare obiettivi di competitività, e ci sono ancora molte realtà che evitano di affrontare l’argomento e cercano di ridurre al proprio interno il più possibile elementi di diversità o di trattare le tematiche che si presentano senza impegnare attenzione e risorse in un piano di gestione strutturato della questione: questi approcci sono in genere conseguenti alla considerazione del fatto che la gestione delle diversità, se può diventare un driver di opportunità in periodi medio lunghi, quasi sempre implica il sostenere dei costi nel breve (legali, organizzativi...) e l’affrontare la pancia del team (incontrando resistenza al cambiamento, gap culturali, rischi connessi alla creazione di dissenso verso il management, aumento delle difficoltà quotidiane).

Le mosse per promuovere la diversità
La comunicazione e l’informazione sono direttamente interessate dal processo di accettazione e valorizzazione delle diversità interne ad un gruppo, perché sono in qualche modo portatrici di elementi di fusione e, se male utilizzate, più o meno intenzionalmente, possono essere strumentalizzate diventando portatrici di elementi di disgregazione.
Vediamo sotto alcuni perni della promozione della diversità che riguardano la comunicazione, di cui ogni Organizzazione dovrebbe tenere conto.

Portare l’integrazione delle diversità ben oltre il documento di mission e di vision aziendale, tenendone conto nella creazione e gestione dei processi che partecipano al raggiungimento degli obiettivi dell’Organizzazione: questo distingue una semplice visione espressa per impressionare gli stakeholder da un vero piano di Diversity Management che produce risultati di competitività in funzione di una crescita di valore interno.

• Fare in modo che il team comprenda e faccia proprio il valore della diversità.

• Creare all’interno della propria Organizzazione un mix di diversità e organizzare le risorse sulla base degli obiettivi di business esterni: assumere quindi le persone che comprendano la cultura e i problemi delle comunità target e fidarsi di questi ambassador.

• Dare importanza al training continuo e fare in modo che la comunicazione, plasmata sul percorso di training, venga continuamente verificata, anche quando non c’è diversità culturale, questo perché quando si tratta di superare delle barriere nulla può essere dato per scontato.

• Garantire la presenza di un diversity manager che costruisca un percorso ad hoc per l’azienda e che lo mantenga sempre ingaggiante, favorendone il funzionamento e la flessibilità.

• Creare un ambiente inclusivo che permetta a ciascuno di mettere a frutto il proprio potenziale e di raggiungere obiettivi di crescita professionale tramite un percorso segnato.

Non concentrarsi sul ridurre il pregiudizio e sul definire tutte quelle forme di comunicazione politically correct, bensì fare spazio alle azioni che rendono la contaminazione effettiva e arricchente.

Coinvolgere tutti e progettare il training anche tra colleghi tra i quali l’elemento di diversità sembra mancare: questo è l’esercizio più interessante perché la scarsa comunicazione è sempre dietro l’angolo, così come lo sono i pregiudizi e le incomprensioni, figli del dato per scontato.

Porre l’attenzione sulle questioni professionali e sul miglioramento dello scambio e dei processi, valorizzare la collaborazione al di là delle mere questioni personali.

• Concentrarsi sull’accessibilità della comunicazione, ad esempio, mantenendo aperti canali di comunicazione interna come luogo della partecipazione e dello scambio, oppure studiando codici condivisi privi di metafore slang ma ricchi di esempi.

• Concentrarsi sulla percezione dello staff rispetto alla maggiore o minore credibilità e autorevolezza delle fonti di informazione interna (utilizzate per il training), poiché persone diverse possono dare fiducia e riconoscere come autorevoli fonti completamente differenti.

• Disambiguare le regole di base del training in ogni modo possibile: le regole del gioco devono essere chiare.

Non lasciar cadere i rumor che possono essere indice di insuccesso degli obiettivi del training.

Non assumere toni inquisitori verso chi tarda a mettere in pratica le regole condivise e il training, ma sforzarsi di chiarire, probabilmente c’è ancora qualche problema di comunicazione da affrontare.

• Abituare ogni componente del team a mettersi nei panni altrui, anche con esercizi pratici che facciano comprendere attraverso una modalità esperienziale cosa provano gli altri.

Abbandonare i parametri del “socialmente desiderabile” validi per la comunicazione esterna e abituare il team a ragionare su minimi fattori comuni che permettano integrazione, inclusione e interazione e una collaborazione proficua, specie se la diversità contempla anche forme di disabilità che riguardano persone con capacità residue limitanti dal punto di vista dell’interazione sociale con il gruppo.

Da tener conto che gli aspetti di performance e professionalità non definiscono una persona nella sua complessità. Per questo, prima di considerare in modo integrato personalità distinte, un manager dovrebbe considerare in modo integrato i vari aspetti della personalità dei singoli, dall’aspetto professionale a quello personale.

Comunicare all’interno e all’esterno
Infine, comunicare all’interno e all’esterno dell’Organizzazione l’effettiva aderenza a progetti che nella quotidianità promuovano il rispetto, l’inclusione, l’integrazione e la ricerca di valore dato dalla diversità è senza alcun dubbio strategico: se la comunicazione interna aiuta il team a testare la consistenza della mission (fino ad ora solo sulla carta) e fa conoscere loro le effettive opportunità messe a disposizione, la comunicazione esterna fa crescere la reputazione verso i portatori di interesse, rendendo l’Organizzazione, possibilmente, anche un esempio di riferimento per il settore (come accade con l’employer branding).

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Articolo di Daniela Bavuso, https://blog.makeaplan.io/

 

 

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